Stella


SULLA QUESTIONE CARCERARIA
dicembre 31, 2009, 9:11 am
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L’articolo 27 della Costituzione vuole che la pena tenda alla rieducazione del condannato.

Questa è una di quelle disposizioni costituzionali che non trovano una puntuale applicazione nella realtà.

In questi giorni si parla tanto di riforme della giustizia, si ragiona di diverse proposte: il c.d. processo breve, l’introduzione del legittimo impedimento, la separazione delle carriere dei magistrati e la riproposizione del “lodo” Alfano per via costituzionale. E’ lecito discutere di tutto questo, ma è molto grave che la condizione carceraria e le modalità di espiazione della pena non rientrino tra le priorità dell’agenda delle riforme della Giustizia.

La foto della realtà carceraria è drammatica. Il numero dei detenuti è tornato ai livelli precedenti all’indulto del 2006. Nel corso degli ultimi mesi si sono verificati episodi di violenza ai danni di detenuti senza che si siano prontamente individuati i responsabili. Alcuni giorni fa è morto un detenuto di colore nel carcere di Castrogno in provincia di Teramo che aveva assistito al pestaggio di un altro carcerato del medesimo penitenziario. Sulla morte di Rudra Bianzino nel carcere di Perugia, l’accertamento delle responsabilità è finito con l’archiviazione da parte del GIP. Sul caso Cucchi a tutt’oggi regna l’incertezza assoluta. Il numero dei suicidi va crescendo sempre più. Molti dei detenuti sono persone in attesa di giudizio, pertanto da considerarsi a tutti gli effetti degli innocenti. Infine l’organico della polizia penitenziaria è costantemente in deficit, per non parlare di quello degli educatori.

Di fronte ad uno scenario di questo genere servirebbero provvedimenti eccezionali.

Ecco alcune proposte:

1)      L’indulto del 2006 fu un provvedimento monco, in assenza di un’amnistia riguardante i medesimi reati oggetto dell’indulto, ha prodotto il paradossale effetto di far comunque celebrare i processi pur nella consapevolezza che gli eventuali colpevoli non avrebbero mai più scontato la pena.

2)      La politica penalistica di continua espansione delle fattispecie di reato ha sistematicamente alimentato l’aumento dei detenuti, in tal senso esempio emblematico è l’introduzione prima dell’aggravante di clandestinità e poi del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio italiano. Bisognerebbe tornare al principio di stretta necessità ed eccezionalità del ricorso alla sanzione penale nella gestione dei conflitti presenti nella società. Introdurre nuovi reati per poi vederli sistematicamente violati produce il doppio effetto negativo di pesare sulla la macchina giudiziaria e impedire un puntuale e circoscritto accertamento delle responsabilità.

3)      La popolazione carceraria è composta in larga parte da persone indigenti, prive dei necessari mezzi di difesa, fattore che di fatto impedisce a molti di loro di accedere ai benefici concessi dalla legge. Taluni di questi benefici dovrebbero scattare automaticamente con il ricorrere dei criteri applicativi richiesti dalla legge, senza aspettare l’azionabilità da parte del detenuto o, più spesso, da parte del suo legale.

4)      Bisogna rivedere l’applicazione del regime della misura cautelare in carcere, onde evitare che questa diventi una forma anticipata di espiazione della pena in assenza di una condanna, in particolare con riguardo agli incensurati.

5)      Bisogna prevedere una depenalizzazione di taluni reati, con particolare riferimento alla detenzione di modiche quantità di droga. Sarebbe opportuno pensare a misure alternative alla detenzione in carcere, escludendo, almeno per i soggetti incensurati, la reclusione e sostituendola con gli arresti domiciliari.

Queste sono 5 proposte a “costo zero” che consentirebbero di alleggerire il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane, di garantire condizioni normali a coloro che scontano la pena detentiva, di non configgere con la legittima e giusta aspettativa di giustizia da parte delle vittime dei reati.


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